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TRIBUNALE DEL LAVORO DI NAPOLI dott.ssa Scelza sentenza n 18652 del 20.6.2006
Affrontato il problema se all'agente spetta il danno in seguito al comportamento non collaborativo della preponente.
Il Giudice ha statuito che all'agente è dovuto il risarcimento del danno perchè:
a)il rapporto si è risolto per esclusiva colpa della società preponente;
b)per il fatto che la società preponente non inviava gli estratti conto e le fatture clienti.
c)per aver consegnato all'agente un campionario scadente con prodotti spesso afflitti da vizi e difetti.
d)perché affidava lo stesso campionario ad altro agente nella zona di competenza dell'agente.
II danno è stato quantificato in via equitativa. Non è stato concesso il danno biologico non perché non dovuto ma, secondo il giudice, non provato sufficientemente il nesso di causalità tra patologia e comportamento della preponente.
La sentenza è di grande interesse perché sancisce il diritto al danno per l'agente per cause imputabili alla preponente. Infine ha concesso il compenso per l'incasso non previsto nel contratto ma di fatto svolto dall'agente come attività accessoria a quella di agenzia.
Secondo il Giudice di Prato va ribadito l'orientamento della Suprema Corte sul principio della necessità della contestazione immediata, seppure sommaria delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa della preponente. Pertanto e conseguentemente è preclusa la deduzione successiva di fatti diversi da quelli contestati con la comunicazione di recesso all'agente. Questo principio opera sia per il rapporto di lavoro subordinato che per quello di agenzia.
(Cassazione Sez. Il n. 23455 del 16.12.04).
Il principio sancito è rilevante in quanto sovente la mandante, nel momento in cui l'agente decide d'intraprendere un giudizio per ottenere i suoi diritti, oppone come difesa ulteriori contestazioni e/o comportamenti illeciti dell'agente non fatti valere con la comunicazione di disdetta del mandato.
Il Giudice di Bergamo ha ritenuto sussistente, pur riconoscendo la legittimità
della deroga al-l'art. 1751 c.c. ad opera della contrattazione collettiva e la
validità degli "accordi ponte" perché di miglior favore a priori ed in
astratto per l'agente, la funzione risarcitoria dell'art. 1751 c,c,. Secondo
il giudicante l'indennità ex art. 1751 cc. risarcisce l'agente della perdita
subita a causa dello scioglimento del rapporto ed è compensativa, in quanto
diretta a compensare l'agente per l'incremento dell'avviamento clientela
procurato alla mandante. Nel caso concreto ricorrevano le condizioni richieste
per il riconoscimento dell'indennità ex art. 1751 c.c. quale l'ampliamento del
portafoglio-clienti dell'azienda in Campania e la mancanza di imputabilità
all'agente per la risoluzione del rapporto. In buona sostanza all'agente è
stato riconosciuta sia la indennità di clientela che la indennità di
cessazione del rapporto. Inoltre in seguito all'improvviso ed inspiegabile
volontà della mandante di recedere dal rapporto, senza nessun segnale prece
dente, è stato concesso il danno. La repentinità del recesso e l'assenza di
qualsiasi motivazione assume, nel rapporto di agenzia, il carattere della
ingiuriosità per i riflessi negativi nei riguardi della clientela. Il danno è
stato liquidato secondo equità. Infine per l'indennità di incasso e/o ex art.
2041 .e. il Giudice ha accolto la domanda con la seguente motivazione" E' ben
vero che nell'originario contratto non era prevista l'attività d'incasso ma
dalla prova testimoniale e dalla documentazione è risultata che detta attività
è stata accettata dalla mandante per oltre dieci anni nulla eccependo e
avvantaggiandosi così dell'attività del proprio agente'.' Effettuate la dovute
considerazioni del rischio insito nel maneggio di denaro nella zona Campania
ha determinato la percentuale per l'incasso nella misura del 3% sulle somme
incassate.
II Giudice del lavoro di Napoli ha ritenuto di concedere ad un agente di prodotti finanziari l'indennità clientela e l'indennità di cessazione del rapporto così come previsto dall'art. 1751 cc.. È stata richiamata la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea del 23.3.2005 ed è stato analizzato il punto sulla inderogabilità delle disposizioni complessivamente previste come più favorevoli a favore dell'agente secondo il sesto comma dell'art. 1751 cc.. Ritenuto che ricorrevano tutti gli elementi per dare applicazione all'art. 1751 ha concesso l'indennità. In ordine alla indennità clientela ha richiamato l'art. 14 dell AEC e ha ritenuto dovuta anche questa indennità.
II Giudicante ha ritenuto fondate le domande proposte ed ha così motivato la sentenza:
a)il danno è dovuto perché la preponente di fatto impedì all'agente di espletare il periodo di preavviso lavorato così come nella previsione dell'art. 1750 cc..
b)L'indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 cc. ed in riferimento alla sentenza del 23.3.06 della Corte di Giustizia Europea il Giudice ha ritenuto che gli AEC assicurano in ogni caso il diritto alla indennità di clientela ma ciò non esclude che, dall'esame ex post del rapporto possa ricavarsi un maggior favore per l'agente (quanto ne ricorrono gli elementi) per ottenere il riconoscimento dell'indennità (media provvigionale degli ultimi cinque anni) ex art. 1751 cc. In questo specifico caso, il Giudice ha ritenuto la domanda per l'indennità clientela assorbita da quella sulla indennità ex art. 1751 cc.
c) Per l'incasso il Giudice ha recepito la domanda proposta ex art. 2041 cc. l'indebito arricchimento). In sostanza egli ha statuito che l'indennizzo (incasso) è dovuto per l'arricchimento della mandante avendo la stessa risparmiato il costo degli incassi. Il depauperamento dell'agente è evidente e consiste nei costi sopportati per riscuotere ed i tempi dedicati a tale attività accessoria. Il compenso è stato determinato nella misura dell'1% sull'incassato.
Provero' ad illustrare, tramite alcune sentenze dei Tribunali ordinari e del Lavoro nell'anno 2006, gli attuali orientamenti emergenti riguardo la problematica dell'agenzia commerciale.
TRIBUNALE DEL LAVORO DI NAPOLI dott.ssa Scelza sentenza n 18652 del 20.6.2006
Affrontato il problema se all'agente spetta il danno in seguito al comportamento non collaborativo della preponente.
Il Giudice ha statuito che all'agente è dovuto il risarcimento del danno perchè:
a)il rapporto si è risolto per esclusiva colpa della società preponente;
b)per il fatto che la società preponente non inviava gli estratti conto e le fatture clienti.
c)per aver consegnato all'agente un campionario scadente con prodotti spesso afflitti da vizi e difetti.
d)perché affidava lo stesso campionario ad altro agente nella zona di competenza dell'agente.
II danno è stato quantificato in via equitativa. Non è stato concesso il danno biologico non perché non dovuto ma, secondo il giudice, non provato sufficientemente il nesso di causalità tra patologia e comportamento della preponente.
La sentenza è di grande interesse perché sancisce il diritto al danno per l'agente per cause imputabili alla preponente. Infine ha concesso il compenso per l'incasso non previsto nel contratto ma di fatto svolto dall'agente come attività accessoria a quella di agenzia.
TRIBUNALE DI PRATO Sentenza n. 701/05 R.G. 876 G.U. dott. Pier francesco Magi
Secondo il Giudice di Prato va ribadito l'orientamento della Suprema Corte sul principio della necessità della contestazione immediata, seppure sommaria delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa della preponente. Pertanto e conseguentemente è preclusa la deduzione successiva di fatti diversi da quelli contestati con la comunicazione di recesso all'agente. Questo principio opera sia per il rapporto di lavoro subordinato che per quello di agenzia.
(Cassazione Sez. Il n. 23455 del 16.12.04).
Il principio sancito è rilevante in quanto sovente la mandante, nel momento in cui l'agente decide d'intraprendere un giudizio per ottenere i suoi diritti, oppone come difesa ulteriori contestazioni e/o comportamenti illeciti dell'agente non fatti valere con la comunicazione di disdetta del mandato.
TRIBUNALE DI BERGAMO Sentenza n. 606/06 R.G. 1551 III SEZ. G.U. dott.ssa Lisa Vasile
Il Giudice di Bergamo ha ritenuto sussistente, pur riconoscendo la legittimità della deroga al-l'art. 1751 c.c. ad opera della contrattazione collettiva e la validità degli "accordi ponte" perché di miglior favore a priori ed in astratto per l'agente, la funzione risarcitoria dell'art. 1751 c,c,. Secondo il giudicante l'indennità ex art. 1751 cc. risarcisce l'agente della perdita subita a causa dello scioglimento del rapporto ed è compensativa, in quanto diretta a compensare l'agente per l'incremento dell'avviamento clientela procurato alla mandante. Nel caso concreto ricorrevano le condizioni richieste per il riconoscimento dell'indennità ex art. 1751 c.c. quale l'ampliamento del pottafoglio-clienti dell'azienda in Campania e la mancanza di imputabilità all'agente per la risoluzione del rapporto. In buona sostanza all'agente è stato riconosciuta sia la indennità di clientela che la indennità di cessazione del rapporto. Inoltre in seguito all'improvviso ed inspiegabile volontà della mandante di recedere dal rapporto, senza nessun segnale precedente, è stato concesso il danno. La repentinità del recesso e l'assenza di qualsiasi motivazione assume, nel rapporto di agenzia, il carattere della ingiuriosità per i riflessi negativi nei riguardi della clientela. Il danno è stato liquidato secondo equità. Infine per l'indennità di incasso e/o ex art. 2041 .e. il Giudice ha accolto la domanda con la seguente motivazione" E' ben vero che nell'originario contratto non era prevista l'attività d'incasso ma dalla prova testimoniale e dalla documentazione è risultata che detta attività è stata accettata dalla mandante per oltre dieci anni nulla eccependo e avvantaggiandosi così dell'attività del proprio agente'.' Effettuate la dovute considerazioni del rischio insito nel maneggio di denaro nella zona Campania ha determinato la percentuale per l'incasso nella misura del 3% sulle somme incassate.
TRIBUNALE DEL LAVORO DI NAPOLI dott.ssa D'Ancona Sentenza n. 21807 R.G. 10535/05 del 15.6.2006. Indennità ex. art 1751 cc. ed indennità di clientela
II Giudice del lavoro di Napoli ha ritenuto di concedere ad un agente di prodotti finanziari l'indennità clientela e l'indennità di cessazione del rapporto così come previsto dall'art. 1751 cc.. È stata richiamata la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23.3.2005 ed è stato analizzato il punto sulla inderogabilità .delle disposizioni complessivamente previste come più favorevoli a favore dell'agente secondo il sesto comma dell'art. 1751 cc.. Ritenuto che ricorrevano tutti gli elementi per dare applicazione all'art. 1751 ha concesso l'indennità. In ordine alla indennità clientela ha richiamato l'art. 14 dell AEC e ha ritenuto dovuta anche questa indennità.
TRIBUNALE DI NAPOLI - IV SEZIONE dott. Ettore Pastore Alinante Sentenza n. 10405/06 del 10.10.2006 R.G. 19307 Danno - 1751 cc. - Incasso
II Giudicante ha ritenuto fondate le domande proposte ed ha così motivato la sentenza:
a)il danno è dovuto perché la preponente di fatto impedì all'agente di espletare il periodo di preavviso lavorato così come nella previsione dell'art. 1750 cc..
b)L'indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 cc. ed in riferimento alla sentenza del 23.3.06 della Corte di Giustizia Europea il Giudice ha ritenuto che gli AEC assicurano in ogni caso il diritto alla indennità di clientela ma ciò non esclude che, dall'esame ex post del rapporto possa ricavarsi un maggior favore per l'agente (quanto ne ricorrono gli elementi) per ottenere il riconoscimento dell'indennità (media provvigionale degli ultimi cinque anni) ex art. 1751 cc. In questo specifico caso, il Giudice ha ritenuto la domanda per l'indennità clientela assorbita da quella sulla indennità ex art. 1751 cc.
c) Per l'incasso il Giudice ha recepito la domanda proposta ex art. 2041 cc. l'indebito arricchimento). In sostanza egli ha statuito che l'indennizzo (incasso) è dovuto per l'arricchimento della mandante avendo la stessa risparmiato il costo degli incassi. Il depauperamento dell'agente è evidente e consiste nei costi sopportati per riscuotere ed i tempi dedicati a tale attività accessoria. Il compenso è stato determinato nella misura dell'1% sull'incassato.
Da una analisi di queste sentenze, si può dedurre:
a) che la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 23.3.06 non ritiene di dover disattendere i faticosi e meritevoli risultati raggiunti dalla contrattazione collettiva con l'indennità di clientela dovuta a tutti gli agenti. Ribadisce, per una indagine sul rapporto ex post, il diritto degli agenti che possono dimostrare di aver incrementato la clientela e che la preponente dopo la cessazione del rapporto ne trarrà vantaggi, ad usufruire dei criteri compensativi e risarcitori dell'art. art, 1751 cc. Inoltre essendo di maggiore favore per l'agente nulla osta alla concessione di entrambe le indennità.
b) II danno è dovuto (anche biologico e/o da mobbing) valutate le modalità di risoluzione del rapporto da parte della mandante e cioè quanto non siano rispettati i comportamenti di lealtà contrattuale e quando i mandati vengono risolti repentinamente e senza alcun segnale di preavviso.
c) Per il compenso d'incasso è stato presa in esame ed accettata la previsione dell'art. 2041 cc. che contempla per l'indebito arricchimento della preponente il diritto dell'agente al compenso.
La Corte di cassazione dopo la decisione della Corte di Giustizia Europea che ribadisce quanto hanno già indicato i giudici di merito - sez. lavoro - con sentenza depositata il 3.10.06 cron. 21309 R.G. 746/2003 - ha ripreso l'analisi della questione riguardante l'art. 1751 cc. dopo averla sospesa il 25.02.05 in attesa dell'esito del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea per la decisione. Il ricorso era avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino che aveva confermato il rigetto del Tribunale di Verbania sulla richiesta di un agente per il pagamento di un maggiore importo della indennità di cessazione del rapporto di agenzia. In seguito alla decisione della Corte di Giustizia CEE del 23.03.06 la Corte di Cassazione ha recepito le osservazioni e ha stabilito che:
a) l'indennità prevista dalI'AEC deve rappresentare per l'agente un trattamento minimo garantito ( indennità di clientela);
b) il giudice del merito deve applicare la normativa che assicuri all'agente il risultato migliore se egli rientra nelle condizioni previste dall'art. 1751 cc e cioè ha incrementato la clientela e, alla mandante deriva un vantaggio con lo sfruttamento della sua clientela dopo la cessazione del rapporto. Concludendo con l'accoglimento del ricorso la Suprema Corte ha demandato ai giudici di merito l'obbligo di analizzare caso per caso, sia ai fini dell'an che del quantum, se all'agente spetti un'indennità di importo maggiore di quella prevista dalla indennità di clientela.
Idem Cassazione sez. Lavoro 23.04.2007 n.9538
Indennità per la cessazione del rapporto Cassazione sez. Lavoro 23.04.2007 n. 9538
Si interpreta nel senso che, il Giudice di merito deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore. Sussiste la inderogabilità a svantaggio dell'agente e ciò determina che, l'importo determinato dal Giudice, ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello inferiore spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive.
CONVEGNO ASSARCO FNAARC del 21/05/2008
INTERPORTO CAMPANO
CONVEGNO ASSARCO FNAARC
INTERVENTO DEL 21/05/2008
LA TUTELA DEGLI AGENTI DI COMMERCIO TRA ACCORDI COLLETTIVI,CODICE CIVILE E DIRETTIVE EUROPEE.
Il Trattato di Roma, che ha istituito la Comunità Europea, si basa su aspettative socio-economiche e sulla necessità di poter evitare trattamenti discriminatori sulle nazionalità, sul diritto di circolazione, sul diritto di stabilimento e di prestazioni di servizi.
Approfondendo il problema ed affrontando delle analisi, si scopre che alcuni diritti primari e molte situazioni giuridiche sono scarsamente tutelate ovvero discriminate per le resistenze dei diritti nazionali.
L’’attenzione posta sulla figura giuridica dell’Agente di commercio, nell’ambito delle prospettive e delle direttive della Comunità Europee, fa avvertire che il delicato ruolo che l’Agente di Commercio svolge, anche attraverso le frontiere interne della Comunità stessa, è rilevante tanto da essere un cardine del basilare principio della libera concorrenza.
L’interesse del problema è stimato in Europa per circa 800mila agenti. Basti pensare che nella sola Germania esistono oltre 90mila Agenti di commercio dei quali 30mila organizzati. Oltre il 65% delle imprese industriali tedesche lavora in collegamento con gli agenti di Commercio ;il 40% degli Agenti rappresenta fornitori stranieri.
In Germania ho constatato che in tutte le città, sedi di tribunali, vi sono delle Sezioni che si interessano esclusivamente dei problemi inerenti l’Agenzia. E’ evidente che in non tutti i paesi della C.E.E., si attribuisce alla figura di agente la stessa rilevanza. Precedentemente,in altro articolo, avevo evidenziato che, dopo la costituzione a Bruxelles della Ligue Internazionale de la Rappresentation Commerciale, era iniziata un adeguamento verso l’unificazione dei contratti di agenzia, frenato dalla diversità degli ordinamenti giuridici nazionali.
In Inghilterra l’Agente conclude gli affari a nome dell’azienda e secondo il tradizionale diritto non codificato strutturato in norme di condotta, tradizioni e charters, invece che in una vera e propria legislazione.
In Francia sono prevalenti i viaggiatori piazzisti e agenti a salario fisso.
La spinta nell’ambito CEE per l’unificazione contrattuale è venuta soprattutto da tedeschi, svizzeri, belgi e dagli italiani. In Italia la figura dell’agente è percepita a livello aziendale come elemento della produzione. Le divergenze ancora esistenti tra le norme che regolano, nei vari Paesi membri, i contratti tra Agenti di commercio e loro preponenti costituiscono un impedimento all’esercizio della professione a livello comunitario che appesantisce lo scambio commerciale e sociale tra gli stati membri.
Il mezzo tecnico giuridico per armonizzare le legislazioni dei paesi membri è la direttiva in materia di agenzia commerciale da un lato e dall’altro la funzione sociale di equilibrio gestita dal sindacato a tutela degli agenti al momento che siede al tavolo delle trattative con Confindustria e Confocommercio per le contrattazioni collettive.
Per trarre alcune conclusioni ricorderò che le direttive hanno questi scopi:
1) uniformare le legislazioni degli Stati membri in materia di stato giuridico degli agenti e rappresentanti di commercio che operano a titolo indipendente
2) abolire le differenze esistenti negli ordinamenti giuridici in materia di agenzia, dato che esse contribuiscono a perpetuare nell’ambito della C.E.E. certe disparità nelle condizioni di concorrenza;
3)introdurre norme intese a garantire una protezione comune degli Agenti di commercio, che tutti gli stati membri sono tenuti ad accordare
4) favorire la conclusione e l’esecuzione di contratti di agenzia tra le parti contraenti residenti in Stati membri diversi ovvero nello stesso Stato, al fine di realizzare anche in questo settore le condizioni che caratterizzano un mercato unico
5) assicurare nella misura massima possibile la certezza del diritto nella materia disciplinata dalla direttiva.
LA FUNZIONE DELL’AGENTE DI COMMERCIO
Nella considerazione del diritto come relazione si attribuisce un carattere dinamico alle categorie del pensiero perché organismi fluenti e vivi.
Le pure forme del pensiero acquistano un valore non più logico ma ontologico cioè creativo della cosa in sé (E.Kant)
Per intenderci, il prodotto commerciale non è una categoria a priori perché non ha la forza dell’origine e quindi non può risolvere il suo problema dell’essere.
Sarà in un secondo tempo che il prodotto, con la funzione dell’agente che è una funzione funzionale, (permettetemi il bisticcio) per la conoscenza formale della cosa-prodotto, diventerà sostanza, nel momento in cui la relazione prodotto-agente-cliente si realizzerà.
La relazione istituita dall’agente ha consentito al cliente di aver opinione e quindi “giudizio” sul prodotto che,finalmente, esiste.
Prima del rapporto intermedio dell’agente, il prodotto , e ciò può sembrare un assurdo, esiste e non esiste. Il processo relazionale, di cui è interprete l’agente permette, favorisce, indirizza il giudizio e la scelta da parte del cliente. Questa operazione consentirà al prodotto di esistere in modo reale.
L’agente non è il ponte di passaggio per le merci, né un terminale di vendita, ma è colui che crea realtà,attraverso la promozione, presso il cliente.
E. Cassirer, in una sua famosa opera. “Il concetto di sostanza e di relazione” considera il concetto matematico di funzione (ricordate la funzione funzionale dell’agente), di un numero(che è concetto di relazione) come l’unità regolatrice della molteplicità sperimentale, come l’assetto a priori esprimente regola di ogni esperienza scientifica possibile.
Fatta questa necessaria premessa devo evidenziare il dilemma nel quale si è dibattuto il settore per vedere tutelati i propri diritti e come il sindacato sovente ha rischiato di rimanere intrappolato nella morsa direttive-codice civile.
Abbiamo analizzato lo spirito comunitario e la necessità di uniformare i contratti d’opera e tutelare gli agenti di commercio che , secondo il trattato di Roma del 50 e poi quello di Schengel, hanno diritto di stabilimento nei vari paesi comunitari. Abbiamo anche accennato che nell’ambito della comunità le differenze legislative nazionali non devono influenzare le condizioni della libera concorrenza e l’esercizio dignitoso della libera professione. Tutti questi aspetti sono contenuti nella direttiva fondamentale e direi storica per il settore la 653/86 che ha obbligato il legislatore italiano e degli altri stati a modificare gli articoli del codice riguardanti la materia agenziale.
E’ indubbiamente una direttiva di grande saggezza giuridica e con una visione futuristica della figura dell’agente. Si pensi che , a distanza di oltre un ventennio , appare ancora attuale.
Le lunghe battaglie giudiziarie interpretative su i suoi contenuti e su come li aveva recepiti il legislatore italiano sono finite, dopo circa venti anni, con la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26/3/2006 che ne ha indicato la via.
Non si può tacere sui ritardi del legislatore italiano e dei venti anni di battaglie giudiziarie alle quali siamo stati costretti in mancanza di certezza del diritto vantato e sperato.
In questi anni Vi è il grande merito del sindacato italiano degli agenti perché, con la contrattazione collettiva ha determinato diritti certi, mentre il mondo del diritto “ufficiale” si dilaniava sull’interpretazione dell’art. 1751cc.
Il sindacato, per la sua funzione sociale, ha compreso che la direttiva (e forse le prossime) andava verso il criterio meritocratico tedesco con il rischio di escludere dal beneficio dell’indennità il 98% degli agenti di commercio. Nelle ultime contrattazioni collettive è riuscito ad ottenere e rafforzare il diritto all’indennità per tutti gli agenti a prescindere dalla ricorrenza nel rapporto dei tre elementi richiesti obbligatoriamente per ottenere il 1751cc e cioè:
a)incremento clientela
b)incremento del fatturato
c) utile che percepirà l’azienda dalla clientela costituita negli anni dall’agente.
Le ultime sentenze di merito Tribunale di Napoli sez. IV n. 10405/06,Pastore Alinante Trib. Bergamo Vasile – sent.606/06, Tribunale del lavoro di Napoli n. 10535/06, e in sede di legittimità la Cassazione, hanno ribadito che, l’indagine del giudice, per accertare se ricorrono gli elementi per concedere gli effetti indennitari previsti dall’art. 1751cc (media provvigionale degli ultimi 5 anni e/o periodo di rapporto), è obbligatoria e deve essere effettuata caso per caso.
L’indennità clientela resta, comunque per tutti gli agenti, il minimo inderogabile.
Nella vicina, prossima contrattazione collettiva, si vedrà quale orientamento sarà prevalente e se vi sarà ancora “resistenza” alla direttiva. Bisogna tener conto che il vento che spira è quello del nord. La battaglia per la tutela degli agenti sarà condizionata? Si spera di no.
Avv. Michele Gelsomino
CIRCOLO NAUTICO POSILLIPO-12GIUGNO 2008-INCONTRO CON GLI AGENTI
NOVITA’ DELL’AEC 2009 COMMERCIO articolo avv.Michele Gelsomino
Ancora ad oggi non è stato rinnovato l’AEC industria.
Sulla esperienza degli accordi precedenti si presume una omologazione con quello del commercio con diversificazioni di modesto rilievo.
Le novità dell’AEC iniziano con l’entrata tra i contraenti della Confesercenti e Asso grossisti – Confesercenti.
Il contratto a tempo determinato, per la prima volta, l’AEC l’articolo 1bis recepisce principi di carattere generale e rende applicabile a questa tipologia di contratto i benefici dell’ indennità per la cessazione del rapporto (così come all’art. 11 e 12 dell’AEC).
Di grande rilievo è l’art. 2. Contiene la regolamentazione delle variazioni di zona, prodotti, clientela, e provvigioni. Ribadisce quanto già rappresentato nell’AEC 2002, ma, ha introdotto, novità per il cumulo delle variazioni. Il cumulo (più variazioni durante l’anno) poteva rischiare di diventare un mezzo surrettizio per costringere l’agente a risolvere il rapporto non più conveniente.
La tempistica per le variazioni è stata allungata. Prima di anni uno per le società e di due per gli agenti in ditta individuale non si possono effettuare più variazioni. Non viene chiarito però, se la natura della duplicazione della variazione vietata prima dell’anno e/o due anni è riferita allo stesso genere di quella già effettuata oppure è possibile sfuggire alla preclusione variando una volta la zona e, per esempio, dopo sei mesi si riduce la provvigione.
Per quanto attiene i doveri e i diritti delle parti (art.3) è stata inserita una limitazione all’addebito totale e/o parziale del valore del campionario. La previsione di pagamento per l’agente è solo nell’ipotesi di danneggiamento del campionario e/o di mancata restituzione dei capi. L’agente non è obbligato all’acquisto del campionario in linea di principio che, sull’accordo delle parti, può essere derogato.
E’ stato anche introdotto l’obbligo dell’agente di informare e relazionare la mandante, sugli affari trattati fino al momento della risoluzione del rapporto. Lo scopo di tale obbligo e che solo in questo modo si potranno individuare quegli affari sui quali sarà, poi, corrisposta la provvigione. E’ ribadito che gli ordini non confermati entro 60 giorni si ritengono accettati e, su di essi, è dovuta la provvigione.
Riguardo alla previsione dell’art. 1749 cc. per la liquidazione delle provvigioni, all’art. 6 del contratto, viene sancito il diritto agli interessi al tasso determinato dal D. Lgs n.231/02, in caso di ritardo nel pagamento.
Per la problematica del patto di non concorrenza, all’art. 7, viene puntualizzato:
a) il compenso previsto è dovuto in unica soluzione alla fine del rapporto;
b) il patto non è modificabile unilateralmente durante il rapporto ma occorre il consenso delle parti. A mio avviso, la clausola, non può essere rinunciata, dal preponente dopo la cessazione del rapporto senza il consenso dell’agente.
Per l’indennità di fine rapporto è stato eliminato il riferimento al contratto a tempo indeterminato in quanto dal 2009 l’indennità è dovuta anche per il contratto a tempo determinato.
Una particolare riflessione bisogna dedicare alla vexata quaestio sulle indennità dovute all’agente. Il discorso è estremamente complesso ma proverò sinteticamente ad illustrarlo.
Per l’indennità meritocratica, prevista all’art. 12 bis dell’AEC 2009, è necessario, per calcolarne l’entità, determinare il valore del fatturato iniziale e finale.
Si pongono a confronto i valori del volume del fatturato (volume vendite effettuate nella zona affidata all’agente) all’inizio del rapporto con i valori del fatturato al termine del rapporto.
Il valore iniziale deve essere rivalutato con i coefficienti ISTAT. Nella tabella prevista all’art. 12 bis dell’AEC si noterà che, la comparazione tra inizio e fine del rapporto, viene effettuata con accoppiamenti del fatturato inizio rapporto e con quello del fine rapporto. I primi 3 trimestri con gli ultimi 3 del rapporto, i primi 4 con gli ultimi 4, i primi 6 con gli ultimi sei e così via.
Effettuata questa operazione di comparazione si riporta il differenziale alla tabella dell’art.12 bis che indica l’entità dell’incremento in base a questo criterio.
Il quantum dell’indennità meritocratica sarà pari alla differenza fra un valore non inferiore a quello individuato dalla tabella 12bis. L’operazione è la seguente: indennità meritocratica = valore previsto dalla tabella - FIRR + indennità suppletiva di clientela.
Per un esempio pratico un rapporto di 60 mesi con incremento dal 60% al 150% l’indennità dovrà essere uguale al valore del 60% del massimo previsto dall’art. 1751 cc. (media provvigionale ultimi 5 anni).
Pertanto: valore indennità annua media 5 anni secondo l’art. 1751 cc. € 100.000 x 60% = € 60.000 indennità meritocratica se con l’AEC.
Dall’indennità meritocratica verrà sottratto il valore dal FIRR e aggiunto quello dell’indennità suppletiva di clientela.
Dovendo scegliere all’atto della liquidazione dell’indennità tra contrattazione collettiva e codice civile l’agente non potrà più farsi liquidare l’indennità prevista dall’AEC e poi giudizialmente invocare quanto previsto dal codice civile come sovente è stato fatto negli ultimi anni.
Per quanto previsto dall’art. 1746 cc., il patto, con il quale spesso l’agente è chiamato a tenere indenne la preponente dalla perdita subita per il mancato pagamento del terzo, qualunque sia il congegno o l’artifizio letterale e/o ricattatorio usato da alcune case mandanti, è affetto da nullità assoluta. L’agente è tenuto a rispondere,se richiesto dal preponente quale garanzia, nella misura di una volta la provvigione e per quei soli clienti per i quali è stata richiesta la clausola di garanzia prima dell’inizio della stagione.
Sulle modalità conciliative, arbitrati, commissioni (paritetiche) ecc. previste dal contratto 2009 è presto per pronunciarsi. Vi è carenza di materiale probatorio (non sono ancora di fatto operative). Vorrei, tra l’altro, evidenziare che va modificato il principio riguardante la competenza arbitrale che, secondo il contratto, si radica nel territorio che appartiene a chi prima lo chiede.
La legge 128 non consente queste deroghe essendo la competenza territoriale per l’agente in ditta individuale solo ed esclusivamente quella del suo domicilio fiscale. E’ una disattenzione che va precisata o modificata.
Ritengo di dover sottoporre all’attenzione degli addetti ai lavori alcune considerazioni su aspetti del rapporto un pò trascurati dall’AEC.
Dal punto di vista processuale l’agente è obbligato a fornire una prova ferrea sulle conclusioni degli affari indicando i contratti assunti, la loro entità, rappresentando l’identificazione degli ordini e dei clienti.
In mancanza ai sensi dell’art. 414 n.4 c.p.c. la domanda è inammissibile.
E’ da considerare che, se il preponente avesse adempiuto all’obbligo di inviare all’agente gli estratti conto e le fatture clienti l’onere della prova sarebbe facilmente superabile.
Tutti sappiamo che, quando il rapporto di agenzia si avvia verso la fine, le case mandanti spesso non pagano le provvigioni e non inviano più gli estratti conto e le fatture clienti.
Il mancato invio degli estratti conto, pur se indicato come obbligo del preponente, non è sanzionato con precisione dall’AEC. Spesso i solleciti e le richieste rimangono inevase.
Anche con la procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c. frequentemente non si raggiunge lo scopo di costringere il preponente ad esibire gli estratti conto e le fatture clienti. Ciò crea una enorme difficoltà di portare al giudice la prova che gli ordini hanno avuto esecuzione.
Uguale discorso per una delle cause che spesso determinano la risoluzione del rapporto.
L’esclusiva è elemento naturale del contratto ma non essenziale. Significa che, in mancanza di pattuizione si presume via sia, ma può essere validamente derogato da una pattuizione espressa delle parti e/o con una tacita manifestazione di volontà desumibile dal comportamento delle parti al momento dell’esecuzione del contratto e/o della conoscenza da parte del preponente che, l’agente ,era titolare di mandati in concorrenza con quello del preponente.
Si ricorda che l’agente è tenuto:
a) agire con lealtà e buona fede;
b) adempiere all’incarico secondo le istruzioni della mandante;
c) informare il preponente sul mercato nella zona di competenza;
d) tutelare gli interessi del preponente e dei consumatori.
Il preponente è tenuto:
a) agire con lealtà e buona fede;
b) pare le provvigioni;
c) fornire all’agente la documentazione al fine di accertare gli affari conclusi;
d) avvertire entro 60 giorni dall’ordine l’agente di eventuali ridimensionamenti degli ordini;
e) consegnare all’agente gli estratti conto per la verifica delle provvigioni maturate.
Andrebbe sancito nell’AEC che, la violazione dell’obbligo del preponente di fornire all’agente la prova dell’esecuzione degli ordini, comporta la possibilità del recesso per giusta causa. Solo così si potrà invertire l’onere della prova sulla esecuzione degli ordini.
Ripeto, non prevedendo l’AEC una grave sanzione le case mandanti artatamente non inviano gli estratti conto per evitare di fornire prova sui crediti degli agenti.
Avv. Michele Gelsomino
MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE: LA GRANDE ILLUSIONE
MEDIAZIONE E CONCILIAZIONE: LA GRANDE ILLUSIONE
Il D. Lgs del 4.3.2010 n.28 ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione in materia civile e commerciale prima di adire il Tribunale ordinario. Il provvedimento entrerà in vigore nel Marzo 2011.
L’attività, svolta da un terzo, è finalizzata ad assistere due e/o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia civile.
Il mediatore è persona fisica che individualmente e/o collegialmente svolge l’attività mediatrice tendente alla conciliazione per comporre una controversia.
La mediazione è ammissibile solo per i diritti disponibili: materia condominiale, diritti reali, divisioni-successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, fitto di azienda, risarcimento del danno da circolazione (veicoli e natanti), responsabilità medica, diffamazione a mezzo stampa, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia, avente ad oggetto le materie indicate, è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.
L’improcedibilità dell’azione giudiziaria, se non si è esperito il tentativo di conciliazione mediante l’istituto della mediazione, deve essere eccepita dal convenuto e/o dal giudice.
Il processo verbale della conciliazione sottoscritto dalle parti e dal rappresentante del procedimento di mediazione viene depositato in Tribunale, omologato con decreto ed è titolo esecutivo.
Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale e dà atto che la mediazione è fallita.
Per poter comprendere la ratio dell’istituto della conciliazione bisogna ricordare che già esistono, nel nostro ordinamento, altre forme di conciliazione che, per una ragione e/o per altre, non hanno mai completamente raggiunto gli effetti desiderati.
L’aspettativa dello Stato di snellire i procedimenti e/o renderli meno onerosi e più rapidi sembra un problema irrisolvibile o di difficile soluzione.
Ricordo alcune forme di conciliazione e di procedimenti tesi ad abbreviare i tempi:
a) il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. prima di adire il Giudice per le controversie previste in materia di lavoro dall’art. 409 c.p.c. ivi comprese le vertenze avente ad oggetto (comma 3 del predetto articolo) i rapporti di agenzia;
b) l’art. 696 bis c.p.c. per l’accertamento tecnico preventivo seguito dal tentativo di conciliazione esperito dal C.T.U.;
c) il procedimento ex art. 702 bis c.p.c. per i procedimenti cosiddetti di cognizione sommaria ove, individuati i criteri di fondatezza e documentalità della prova, si sarebbe potuto pervenire ad un rapido giudicato.
Il nuovo D. Lgs. ha di fatto sancito la conservazione del 410 c.p.c. in materia di lavoro che prevale, per ora, sulla mediazione.
La mediazione, nuova forma di conciliazione “amministrata” dal terzo, pone, però, considerata l’assenza di esperienze “sul campo”, una serie d’interrogativi e perplessità e, allo stato, non sembra vi siano risposte chiare. Quali saranno i criteri di competenza territoriale una volta effettuata la richiesta di mediazione?
Sarà competente l’organismo di mediazione di Milano dove l’azienda ha presentato l’istanza e/o la sede dell’agente di Caltagirone?
Saranno confermati i criteri previsti dal codice di procedura civile in materia di deroga di competenza nel caso l’agente non agisca come persona fisica ma come società anche se di persona?
Ma l’aspetto più eclatante è che, lo Stato, per ridurre i carichi giudiziari, ponga sulle spalle del cittadino un nuovo balzello: le spese di mediazione.
Sono già indicati gli esborsi che vanno da 100euro a 10.000,00 euro per soggetto partecipante alla mediazione con riferimento al valore della disputa.
Nulla si dice per il compenso ad eventuali tecnici e/o esperti chiamati di rinforzo durante la mediazione. L’onerosità sembra, secondo i primi commenti, farà perdere alla mediazione buona parte del suo appeal. Un minimo di successo sarebbe stato assicurato rendendo gratuita la mediazione.
Occorre ricordare che, essendo la mediazione attività di mezzi e non di risultato anche in caso di fallimento le parti dovranno comunque pagare l’organismo di mediazione.
In quest’ipotesi la parte e/o le parti, se insoddisfatte, adiranno, se potranno economicamente, i Tribunali della Repubblica con la certezza di doversi caricare di nuove spese.
Si costringerà obbligatoriamente il cittadino a subire un doppio regime delle spese e ulteriori tempi di attesa in nome di un presunto snellimento dei tempi della giustizia considerato che la previsione per la mediazione è di quattro mesi rinnovabili.
Se veramente, in un rapporto di lealtà e di rispetto del sociale, lo Stato avesse voluto favorire il cittadino rendendogli rapida giustizia la mediazione non avrebbe dovuto avere costi. Le incertezze sono raddoppiate e si rischia di favorire le classi più agiate a danno di quelle che non possono sopportare un incremento delle spese e ulteriori tempi di attesa.
Chi non è in grado di sopportare i costi della giustizia potrebbe essere costretto ad accettare comunque la conciliazione, anche se lesiva dei propri legittimi interessi per non andare incontro ad ulteriori spese. E’ forse questa la ratio della norma?
L’impatto con il sociale dirà se l’esperimento è valido. Senza dubbio sarebbe stato più accettabile, invece di creare ulteriori forme di giustizia sommaria (che già abbondano nella realtà quotidiana), incrementare le spese per la giustizia ordinaria, aumentare il numero dei giudici e degli ausiliari come da innumerevoli anni si chiede disperatamente.
L’altro rimedio da provare sarebbe stato quello di eliminare dal carico dei ruoli giudiziari materie come l’infortunistica stradale e le beghe condominiali per veder ridurre del 40%, 50% il lavoro dei magistrati e il carico dei Tribunali. Il rischio che incombe è che, queste nuove forme di giustizia parallela possono alimentare pletore di fameliche clientele che, eserciteranno, l’arte del mediare non si sa in nome di quale cultura giuridica. Non è credibile che soggetti con poche ore di corso (lautamente pagato) potranno gestire lA mediazione spesso avente ad oggetto questioni giuridicamente rilevanti.
Si osserva recentemente un proliferare di enti di mediazione che, già sulla carta, si sono assicurati lo svolgimento della “obbligatorietà della mediazione” previo pagamento anch’esso obbligatorio.
Migliaia di giovani illusi da pubblicizzati corsi di preparazione alla mediazione, perché non sponsorizzati, dovranno ancora una volta, acquisito il titolo di mediatore professionale, appendere il loro pezzo di carta al muro.
Non è ammissibile, pur comprendendo le attuali condizioni della giustizia oggi, il tentativo di sottrarre il cittadino alla giurisdizione sancita dalla Costituzione e condurlo verso forme di giustizia ibride e non controllabili.
Si tenta da tempo di eliminare l’art. 18 dallo Statuto dei Lavoratori e/o di aggirarlo. In tutte le contrattazioni collettive settoriali s’introducono soluzioni quali l’arbitrato, le commissioni paritetiche, gli organismi di conciliazione ecc. ma con l’entrata in vigore del D. Lgs. Del 2010 non si sa quale sarà il destino di queste iniziative.
Per ora resta vigente per gli agenti individuali il processo del lavoro previo il tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. e la competenza nel Tribunale del Lavoro del luogo dove l’agente ha il domicilio fiscale.
La materia dell’agenzia non sembra con chiarezza investita dalla problematica della mediazione assistita così come prevista dal D. Lgs. Del 2010.
Dovranno essere adeguati alla nuova normativa le contrattazioni collettive?
Il sindacato è pronto per affrontare l’istituto della mediazione? Ha predisposto enti di mediatori abilitati presso le proprie sedi come hanno già fatto le Camere di Commercio? Quali criteri seguirà per indicare i mediatori professionali? Chi partecipa alla mediazione può farsi assistere da un suo avvocato di fiducia? Le attuali conciliazioni effettuate dai sindacati dovranno passare da marzo 2010 obbligatoriamente per gli enti di mediazione altrimenti il titolo conciliativo non sarà esecutivo e non si potrà usufruire di alcun beneficio fiscale?
Sono numerose le incertezze e quest’analisi così sintetica certamente non esaurisce il problema mediazione per il quale occorreranno successive riflessioni.
Il 10.3.2010 intanto è stato integrato l’AEC per la disciplina del rapporto di agenzia settore commercio con la riformulazione dell’art. 12 verbale 1 e con il seguente comma: “le parti stipulanti il presente AEC si danno atto che in presenza della mancata conciliazione o mancato accordo oppure di mancata comparizione di una della parti presso la commissione di conciliazione ciascuna delle parti potrà adire l’Autorità Giudiziaria, secondo quanto previsto dalla L. 11.8.1973 n.533 e promuovere il deferimento della controversia ad un Collegio Arbitrale secondo l’art. 18bis dell’AEC”.
Apprendo che solo oggi (settembre 2010 ) ad iniziativa del Sen. Benedetti Valentini sono state presentate, con disegno di legge, modifiche al decreto legislative 4 marzo 2010 n. 28. I punti essenziali sui quali cadono le modificazioni proposte sono i seguenti: facoltatività del ricorso alla mediazione pre-giudiziale ai fini delle condizioni di procedibilità dell’azione che si intende proporre, necessità dell’assistenza di un avvocato per tutto il corso della attività di mediazione, norme rigorose in materia di riservatezza, previsione di responsabilità solidale dell’organismo di mediazione. Era ora!
Avv. Michele Gelsomino